Oggi Repubblica continua a schierarsi apertamente col suo giornalista e pubblica questa lettera del Presidente dell'Ordine dei Medici di Roma:
Non mi piace leggere queste cose, non mi piace proprio. Fanno male al processo di evoluzione dell'assistenza che da molti anni si sta cercando di compiere in Italia: queste polemiche dividono invece che unire. Secondo me medici e infermieri non dovrebbero trovarsi sulle due rive opposte di un fiume, ma in mezzo, sulla stessa barca, gli uni con un remo, gli altri con l'altro per garantire la migliore assistenza e cura possibile alle persone che richiedono l'intervento di queste due figure professionali.
Tutto il mio pensiero è molto ben riassunto dalla prima (e poi dalla seconda... e son certa ce ne saranno altre) lettera del Presidente del Collegio IPASVI di Roma, Gennaro Rocco:
Quella penna antica e servizievole
sabato, 28 aprile 2007 @ 01:22
Sul quotidiano “La Repubblica” del 23 Aprile scorso, dalla penna autorevole di un opinionista di rango qual è Mario Pirani, nella rubrica da lui curata “Linea di confine” (vedi testo allegato), sono uscite affermazioni ed anatemi che ci hanno lasciati a dir poco allibiti e che certamente non fanno bene né al paese né al servizio sanitario.
Come folgorato sulla via di Damasco, l’autorevole giornalista dichiara di aver finalmente individuato le cause dei mali di cui soffre la nostra sanità: gli infermieri e gli psicologi.
I primi perché a causa della loro aumentata professionalità legata anche alla formazione universitaria, osano addirittura “costituire servizi autonomi con una propria gerarchia interna sottratta PERSINO alla Direzione Sanitaria ma facente capo direttamente ala Direzione Generale”e poi ancora perchè “la formazione accademica è ottima cosa fino a che migliora la preparazione professionale ma diventa aberrante se è intesa come leva per far saltare ogni principio di gerarchia e di responsabilità medica”. Parole pesanti e frutto di una, a dir poco, approssimativa e preconcetta considerazione di un professionista, l’infermiere, che oggi per essere abilitato ad esercitare, deve possedere un bagaglio di studio lungo almeno 16 anni ed una specifica laurea che lo rende RESPONSABILE dell’assistenza generale alla persona.
Con l’articolo “Todos caballeros negli ospedali italiani”, Pirani volge la testa indietro. E così resta. Ripropone ciò che tutti pensavamo fosse superato dal tempo, dalla storia: la “baronia” della classe medica, la sua supremazia, lo jus del primo della classe. Nella nostra visione della sanità, se esiste una gerarchia, questa ha al suo vertice una sola persona: il malato, con i suoi bisogni, le sue necessità, le sue ansie e le sue preoccupazioni…
In sanità il lavoro da “solisti” non paga! E’ necessario lavorare in équipe. La squadra, il team sono la giusta risposta alle discrasie del sistema sanitario. Medici, infermieri, terapisti, tecnici, tutti devono lavorare in maniera integrata: ognuno portatore della sua specificità, della sua competenza del suo sapere, messi a disposizione di chi ne ha bisogno. Non si può confondere l’ambito delle competenze mediche con quelle degli infermieri e degli altri professionisti della salute: una cosa è la diagnosi medica, tutt’altra cosa la diagnosi infermieristica; una cosa è prescrivere farmaci altro è garantirne la corretta applicazione; una cosa è la cura medica, altro è l’assistenza infermieristica.
E’ bene ricordare che sono sempre gli infermieri quelli che assistono le persone 24 ore al giorno, buona parte delle quali da soli, senza alcuno che li “sorvegli” o che comandi loro “cosa va fatto” e “come va fatto”. Sono sempre gli infermieri che con ranghi ridotti (l’Italia è il Paese con il più basso numero di infermieri: 5,9 per 1000 abitanti rispetto alla Germania o all’Irlanda che ne hanno il doppio e la Finlandia e i Paesi scandinavi che ne hanno addirittura il triplo) garantiscono comunque l’apertura e il funzionamento dei reparti e dei servizi del SSN. L’Italia è anche il solo Paese europeo dove il numero dei medici è superiore a quello degli infermieri (360.000 circa i medici; poco più di 340.000 gli infermieri).
Ogni giorno l’abnegazione e la responsabilità di questi professionisti contribuiscono a fare della nostra sanità, nonostante i tanti problemi che l’affliggono, una delle migliori del mondo. Crediamo che essi non meritino tanta acredine ed aggressioni così gravi ed ingenerose. Sono decine di migliaia gli infermieri che ogni anno si iscrivono e frequentano Master di specializzazione, di organizzazione e di management e ciò, nonostante ancora siano poche le opportunità di carriera e nonostante stipendi assolutamente sottostimati rispetto al ruolo e alle responsabilità che essi oggi ricoprono, (un infermiere guadagna meno della metà di un giovane medico!).
Che peccato, dottor Pirani! Che occasione perduta! Se davvero i medici si decidessero, una volta per tutte, ad accettare il fatto che l’infermieristica è cosa diversa e complementare, che gli infermieri non sono più disposti a lavorare “per” i medici ma semmai “con” i medici per i malati, e se i medici non trovassero ogni volta il loro “cantore” acritico e servizievole, forse le cose andrebbero meglio. Per tutti, anche per gli stessi medici.
Una cosa, però, è bene che il Dott. Pirani sappia: se gli infermieri italiani sono arrivati al punto in cui oggi sono è perché si sono messi in gioco, hanno investito più di ogni altra categoria su formazione, cultura e preparazione specialistica. E lo hanno fatto grazie a una straordinaria caparbietà, spesso contro tutto e contro tutti. La stessa determinazione che non li abbandona oggi e che li spinge a proseguire nel cammino intrapreso. Nonostante i Pirani di turno e con un unico fine: il bene dei cittadini che assistono.
LETTERA APERTA A MARIO PIRANI
domenica, 06 maggio 2007 @ 10:25
Egregio Dottor Pirani, qualche settimana fa ho avuto modo di leggere il suo articolo pubblicato su “La Repubblica” dal titolo “Todos Caballeros negli ospedali italiani” in cui ha fatto asserzioni che mi hanno lasciato sbigottito e molto amareggiato e che mi avevano indotto a scrivere una lettera aperta che non so se ha avuto modo di leggere (ad ogni buon fine la allego alla presente).
E, non pago, è tornato sull’argomento una settimana dopo con ulteriori considerazioni che, ritengo, abbiano offeso non solo l’intera categoria professionale che Lei con tanta ostinazione umilia (nell’articolo pubblicato il 30 Aprile li definisce tutti portantini sanati), ma l’intero Paese e il massimo organo che lo rappresenta: il Parlamento. Quando dico Parlamento non parlo di una o dell’altra compagine politica, ma di una istituzione che, a prescindere dalle maggioranze o dalle opposizioni, in quattro legislature successive ha sancito, quasi sempre con leggi approvate in modo bipartisan, la necessità che anche i cittadini italiani, come quelli di tutti i Paesi europei ed americani, avessero il diritto di essere assistiti e curati da professionisti con conoscenze e competenze elevate, al passo con i notevoli progressi della medicina.
Mi chiedo allora se Lei ha mai visitato un ospedale? Se ha un’idea, seppur vaga, di ciò che fanno gli infermieri? E di cosa, invece, si occupano gli altri professionisti sanitari e di cosa i medici?
Perdoni la domanda, forse pleonastica ma, ritengo, non peregrina, a giudicare almeno da quanto va affermando sulla sua rubrica..
Vede Dottor Pirani, che Lei abbia sostenuto, accalorandosi, la tesi secondo cui infermieri più preparati, formati a più alto livello, autonomi e con una loro gerarchia professionale, non più “paramedici” ma professionisti a tutto tondo (come del resto, Suo malgrado, la legge italiana li riconosce) potrà avere una “ricaduta sui pazienti e sull´organizzazione sanitaria che può rivelarsi rischiosa” non stupisce più di tanto. Almeno non gli infermieri.
Disinformazione e superficialità possono colpire anche chi, come Lei, svolge il suo lavoro da decano.
Quando però, nonostante la ridda di precisazioni che per Sua stessa ammissione le è piovuta addosso dopo la prima sortita del 23 aprile, insiste sulla linea del “todos caballeros”, allora un dubbio mi assale.
È solo questione di non conoscenza o è parte di un disegno più ampio e pilotato per screditare questa categoria? Dubbi per carità, solo dubbi ma che sono sostenuti dai presupposti fallaci da cui la Sua analisi muove e dalle conclusioni inverosimili a cui questa giunge.
No, caro Dottore, non ci siamo. E la “raffica di e-mail di protesta” che ha sommerso la Sua prima sortita sull’argomento dovrebbe consigliarLe qualcosa.
Come può denigrare a cuor leggero centinaia di migliaia di infermieri affermando che la riforma delle professioni sanitarie “corona anni di sanatorie che hanno trasformato ope legis migliaia di portantini in infermieri con un tocco di magia politico-sindacale”? Gli infermieri italiani, anche quelli diplomati prima del passaggio della formazione in Università, frequentavano corsi della durata di tre anni ai quali si accedeva con una scolarità di almeno dieci anni e che prevedevano la frequenza obbligatoria sia alle lezioni teoriche che al tirocinio clinico per un totale di almeno 4600 ore e conseguivano un Diploma abilitante che è stato il primo ad essere riconosciuto in tutti i Paesi europei (parliamo degli anni ’70).
Altro che portantini sanati! Tutti questi infermieri hanno sulle spalle decenni di esperienza professionale maturata sul campo (peraltro nel nostro caso con un’attività di aggiornamento obbligatoria e intensa – ha mai sentito parlare di ECM?) e molti di essi hanno anche una formazione specialistica finalizzata sia alle funzioni direttive che a quelle clinico- assistenziali.
No, caro Dottor Pirani. Al contrario di quanto afferma, poche altre categorie professionali sono cresciute in questi ultimi decenni come quella infermieristica. Non certo quella medica che Lei difende così appassionatamente. Ribadisco che noi infermieri non abbiamo alcuna intenzione ed alcuno interesse, voglia o necessità di diventare i nuovi “capitani” della sanità.
A noi interessa servire i cittadini, i "nostri" malati con competenza e professionalità e vorremmo farlo lavorando in team con gli altri professionisti.
Per noi assistere la persona significa applicare le tecniche più sofisticate e complesse, ma anche rispondere ai bisogni psico-relazionali che ogni uomo ha e che in un sistema "medicocentrico" vengono troppo spesso dimenticati. E quando parlo di assistenza globale alla persona intendo anche garantire i bisogni fondamentali della persona quali quelli dell’eliminazione o dell’alimentazione o il confort alberghiero.
Beh dott. Pirani, se questo è il Suo pensiero, faccia pure. Vuol dire che ha imparato a ragionare proprio come quei medici (e non sono poi tanti in verità!) per i quali la priorità non è la salute del cittadino ma il piedistallo da cui impartire ordini di servizio.
Peccato. Gli infermieri, gli altri operatori, i cittadini, il sistema sanitario, non ne sentivano alcun bisogno.
P.S. Se ne ha voglia e tempo, può leggere qualcuna di queste Leggi di cui la “nostra” Repubblica democraticamente si è dotata (L.42/99; L.251/00; L.43/06 e i DM Sanità n° 739/94 e DM Miur 2/4/01)
Gennaro ROCCO
Presidente del Collegio Professionale IPASVI di Roma
Non sono certa di voler vedere la prossima puntata di questa specie di inutile dinasty.