venerdì 18 maggio 2007

La professionalità dell'infermiere: nuova polemica

Dal 27 aprile, in sordina come sempre, si sta svolgendo una fortissima polemica tra la Federazione dei Collegi IPASVI e uno stimato giornalista di Repubblica, Mario Pirani. Oggi ha infarcito la dose il presidente dell'Ordine dei Medici di Roma, schierandosi dalla parte del giornalista.
Veniamo ai fatti.

Il 27 aprile Pirani pubblica, sulla rubrica Linea di Confine, il seguente articolo:

Todos caballeros negli ospedali italiani, di M. Pirani
Sono anni ormai che mi occupo della sanità pubblica con magri risultati. Talvolta solo l´enormità di nuove nefandezze mi spinge a riproporre il tema. Ora scopro che un altro colpo è stato inferto al ruolo dei medici, con conseguenze che ricadranno in un modo o nell´altro sui pazienti. Vengo ai fatti: da che mondo è mondo gli infermieri in corsia dipendono da una (o un) caposala e costei risponde al primario e ai medici di turno. Con la riforma universitaria del 3+2 è stata aperta la possibilità di una qualifica professionale più alta a numerose categorie, attraverso il conseguimento della cosiddetta laurea breve. Ne possono usufruire svariati settori tecnici collegati alla sanità (infermieri, podologi, fisioterapisti, addetti all´igiene dentaria ecc.). È un´ottima cosa fino a che migliora la preparazione professionale di queste categorie; diviene aberrante se è intesa come leva per far saltare ogni principio di gerarchia e responsabilità medica.
Purtroppo è quello che sta accadendo grazie alla pressione sindacale e alla complicità partitica.
Sotto la parola d´ordine «siam tutti dottori» è passato il principio che gli ex infermieri, oggi muniti di laurea, non dipendono più dai responsabili medici del reparto ma costituiscono un servizio autonomo, con una propria gerarchia interna, sottratta persino alla direzione sanitaria ma facente capo alla direzione generale.
Impressiona la casistica che si sta evidenziando. Tre medici psichiatrici del San Giacomo di Roma (i dottori Vercillo, Elmo e Rosini) mi hanno scritto una lunga e-mail che riassumo: tra i compiti dei primari (denominati a loro dispetto «dirigenti di struttura complessa») il principale era la direzione tecnica (clinica), la responsabilità delle diagnosi, delle terapie, di tutta la conduzione delle indagini e dei trattamenti, quando non attuati in urgenza dal medico di guardia. Oggi il potere dei dirigenti medici è praticamente nullo e il loro compito è diventato altro: non più responsabili del lavoro clinico, ma titolari di un ruolo «gestionale e amministrativo».
Dovrebbero occuparsi insomma di turni e soprattutto di ‘budget´. A leggere le normative attuali non si sa chi debba coordinare il lavoro nel servizio: o i medici operano in totale anarchia, responsabili, ognuno per conto proprio, di diagnosi e terapia sui pazienti loro affidati, o i primari proseguono in realtà a svolgere il loro lavoro come prima. La magistratura infatti continua a considerare il loro ruolo immutato rispetto alle responsabilità medico-legali, visto che li chiama a rispondere delle scelte cliniche errate nei loro reparti.
Anche questo però sta per essere superato davanti all´ascesa di nuove professioni che premono per avere il riconoscimento di funzioni dirigenziali.
Ecco che, infatti, si ventila la possibilità di reparti gestiti da infermieri ed altri tecnici laureati, con i medici ridotti a consulenti di reparto. Organizzazioni simili sono già previste in reparti per anziani e riabilitativi, nei laboratori di analisi, ecc. In un ospedale romano il ruolo di responsabile del blocco operatorio, già attribuito per 3 anni a un valente anestesista, è stato assegnato a una infermiera laureata, mentre al medico è stato chiesto di collaborare con la «collega».
Per non parlare poi della psichiatria, dove l´essenza medica degli atti diagnostici e terapeutici viene costantemente negata. Qui sono gli psicologi ad ambire (anche legittimamente se si pensa alla natura solo «gestionale e amministrativa» del primario) alla massima dirigenza dei servizi. E già esistono casi di servizi di salute mentale con primari o anche responsabili clinici, laureati solo in Psicologia. Se un parente, non convinto della diagnosi o delle decisioni terapeutiche adottate per un paziente, vorrà «parlare con il primario», troverà una persona che, anche con la massima preparazione sulle psicologie individuali, di famiglia e di gruppo, non avrà alcuna competenza sulle richieste specifiche. Riflettendo al fatto che vengono elencate almeno 64 patologie non rare di tipo fisico che possono causare sindromi psichiatriche, non si capisce come uno psicologo, anche bravissimo, possa fare una diagnosi differenziale. Per non parlare poi della somministrazione di terapie psicofarmacologiche molto complesse anche nelle interazioni e negli effetti collaterali.
Ci si troverà insomma con servizi diretti da persone che avranno competenze scarse o parziali sul complesso processo che si svolge nel loro servizio, competenze certamente minori dei medici psichiatrici loro sottoposti. Tutti «dottori» o «todos caballeros» negli ospedali italiani?

(La Repubblica - lunedì 23 aprile 2007)
L'IPASVI a questo punto decide di comprare uno spazio a pagamento su Repubblica per rispondere, ma durante le procedure per la realizzazione compare un secondo articolo di Pirani (lunedì 30 aprile), con contenuti ancora più forti e a tratti anche denigratori della figura dell’infermiere:

Chi porterà la padella fra tanti dott e prof? di M. Pirani

Una raffica di e-mail di protesta è seguita all´ultima «linea di confine» («Todos caballeros negli ospedali»).
Alcune sono argomentate, altre sovrabbondano in insulti, con frasi ricorrenti testuali, il che lascia intravedere una regia sindacale concordata.
Nella contestata rubrica segnalavo come la riforma universitaria, con l´introduzione della laurea breve e il possibile biennio di specializzazione - il cosiddetto 3+2 - aveva permesso una crescita culturale e professionale ed un titolo accademico anche ad una serie di categorie paramediche (infermieri, fisioterapisti, tecnici di laboratorio e di diagnostica strumentale, ostetrici, podologi, igienisti dentali, ecc).
Inoltre sottolineavo come questa riforma si fosse incrociata con le innumerevoli mutazioni della sanità pubblica con conseguenze in parte positive (il livello più qualificato degli operatori) ed altre negative (una miriade di carriere indipendenti con la creazione di vertici pienamente autonomi). Riaffermo che la ricaduta sui pazienti e sull´organizzazione sanitaria può rivelarsi rischiosa. Alla fine alle corporazioni mediche si contrapporranno altrettante corporazioni non mediche senza alcun momento di direzione clinica unitaria. Invece che una integrazione dei saperi avremo una schizofrenia di carriere parallele, alimentate da sigle sindacali con forte influenza politica. Lo provano già a iosa le risposte esasperate che la mia analisi ha suscitato e a cui posso rispondere solo collettivamente. Ne cito un brano per tutte: «I medici sono disposti a lavorare con noi infermieri senza confondere la diagnosi medica con quella infermieristica? La legge ha riconosciuto l´infermieristica come professione sanitaria autonoma e non ausiliaria. Ne consegue che non possa sussistere dipendenza da figure diverse - medico od altri-e sia invece necessaria una struttura gerarchica autonoma» Opposta l´opinione dei sanitari. Il consiglio direttivo dell´Ordine dei medici e odontoiatri di Roma mi esprime «incondizionato apprezzamento» e il suo presidente, dottor Mario Falconi, scrive: «In troppi stanno operando per una sanità fatta da professionisti che rischiano sempre più di lavorare a compartimenti stagni e che non solo mal tollerano l´imprescindibile ruolo di sintesi che il medico deve avere nell´interesse primario dei pazienti, ma addirittura immaginano di sostituirsi ad esso. « Per concludere riassumo schematicamente la situazione.
Oggi per diventare infermiere si accede ad un corso universitario, diviso in due livelli. Il primo consente l´acquisizione dopo tre anni del titolo di infermiere laureato (non di dottore). Se si continua per altri due anni si prende la laurea di II livello ed il titolo di dottore in Scienze infermieristiche. Va, però, evidenziato che tutti i titoli infermieristici acquisiti prima del 2000 (cioè prima della riforma delle professioni sanitarie) sono stati sanati e ope legis resi equipollenti alla laurea breve.
La riforma, quindi, corona anche anni di sanatorie che hanno trasformato ope legis migliaia di portantini in infermieri con un tocco di magia politico-sindacale. Il primario non ha di fatto più alcuna voce in capitolo nella organizzazione, gestione e regolazione del personale infermieristico.
Altro aspetto non irrilevante è che l´acquisizione di un titolo professionale indubbiamente più qualificato, in carenza di figure professionali di livello basso o intermedio, ha creato indubbi problemi nella gestione assistenziale del paziente. Un infermiere laureato aspira verosimilmente ad una attività professionale superiore. Quando tutti gli infermieri saranno laureati e masterizzati chi distribuirà le medicine ai degenti, chi porterà la padella o il pappagallo, chi metterà e toglierà la flebo, chi dovrà farli mangiare? A che servirà un ospedale pieno di dottori in medicina o in scienze infermieristiche?
Le conseguenze sono destinate ad ampliarsi con l´introduzione in corso d´opera di almeno una diecina di carriere parallele e autonome. La Regione Lazio, ad esempio, ha già disposto l´istituzione di nuovi servizi con relativa nomina di nuovi dirigenti per quanto riguarda, oltre all´assistenza infermieristica e ostetrica, i servizi di diagnostica strumentale, riabilitazione, prevenzione, assistenza sociale. Le nomine dei dirigenti per un triennio avverranno dopo un colloquio e la presentazione dei titoli.
Non, però, dopo un vero concorso con graduatoria certa. La scelta spetterà, infatti, a una triade formata dal direttore sanitario e da due «esperti dell´area» (alias sindacalisti?). I più bravi e qualificati saranno destinati anche in questi casi a lasciare il passo ai meglio «targati»?
(La Repubblica - lunedì 30 aprile 2007)
Il testo dell'IPASVI viene rielaborato e viene così (file in pdf, non riuscivo a inserirlo per benino) inviato a Repubblica per la pubblicazione, ma... prima viene rifiutato e poi accettato (sempre a pagamento) ma con modifiche. La proposta di modifiche (arrivata alla Federazione il 2 maggio) sono state intese come una forma di censura, la richiesta è stata ritirata e si son scelte delle vie di comunicazione alternative. La Presidentessa della Federazione (Annalisa Silvestro) il 3 maggio arriva ad un vivace scambio di opinioni con il vicedirettore di Repubblica riguardo alla posizione presa dal quotidiano e per di più il 7 maggio compare un altro articolo di Pirani:

Le 22 professioni del caos sanitario

Vorrei concludere la polemica aperta con le due ultime "linea di confine" ("Todos caballeros negli ospedali italiani" e "Chi porterà la padella fra tanti dott. e prof?" su Repubblica del 23 e 30 aprile). Prima, però, mi è d´obbligo ribadire che nei pezzi incriminati non figurava alcuna espressione irrispettosa della professione infermieristica, non fosse altro per motivi scaramantici, più che spiegabili ad una età che mi vede frequentatore assiduo delle strutture sanitarie. Scherzi a parte sono convinto che agli infermieri qualificati vada assicurata una più ampia autonomia (già anni orsono scrissi, ad esempio, che andava loro delegata la somministrazione di oppiacei ai pazienti afflitti da dolore acuto). Ho anche sostenuto che la nuova formazione accademica (il 3+2) andava accolta come un positiva possibilità di crescita culturale e professionale della categoria e delle molte altre, un tempo chiamate paramediche. Ciò che mi trova nettamente discorde è, per contro, il passaggio da una autonomia ben definita alla totale indipendenza. Per questo non mi convince il sottosegretario alla Sanità, Gian Paolo Patta, in passato valente sindacalista, che in una sua lettera, vantando l´individuazione da parte del ministero di ben ventidue professioni sanitarie, ribadisce che esse sono «abilitate alla diretta presa in carico del paziente e a svolgere con piena titolarità tutte le attività individuate dalle norme vigenti.... senza entrare minimamente in conflitto coi medici,.. che rimangono titolari della diagnosi clinica (da non confondersi con la «diagnosi infermieristica», ndr), degli atti medico chirurgici e della prescrizione della terapia farmacologica». Le preoccupazioni che ho manifestato per questo impianto spartitorio di ogni singolo paziente e delle competenze sanitarie, denoterebbero «una idea superata, quanto meno anacronistica, della sanità.... anche perché nella moderna concezione nessuno può operare al di fuori del modello della équipe multiprofessionale, nella quale ogni operatore esercita la propria professione all´interno del proprio ambito operativo».
Forse sarò «antiquato», ma quel che a me sembra un autentico e pericoloso anacronismo è l´introduzione di un modello in cui ogni operatore, a seconda della neo-professione, agisce «all´interno del proprio ambito». Quale è il confine tra i vari «ambiti» e, soprattutto, chi coordina e, alla fine, ha l´ultima parola in quel «modello multi professionale» che sancisce la cancellazione del primato medico? Temo, quindi, un contesto cacofonico e litigioso, come prova fin d´ora la protesta della Federazione degli Ordini dei medici al Consiglio superiore della Sanità contro «l´istituzione indiscriminata e ingiustificata di nuovi operatori che non recano alcun miglioramento agli attuali livelli assistenziali, contribuendo invece a provocare pericolose sovrapposizione di competenze».
Passando alla normale gestione lascio la parola a uno dei miei tanti critici, Angela Ragaccio, dirigente del Servizio infermieristico delle Molinette di Torino: «Non c´è una risposta univoca alla sua provocatoria domanda su chi porterà la padella al malato fra tanti dott e prof: potrà essere l´infermiere se la complessità del paziente renderà necessario un intervento altamente qualificato, potrà essere un operatore socio-sanitario o altra figura di supporto oppure semplicemente il famigliare vicino al malato». Se così è, avremo negli ospedali l´afflusso annuo di diecine di migliaia di operatori socio-sanitari per assicurare l´assistenza quotidiana (vi è attualmente una carenza di circa 100.000 unità); figurano, inoltre, nel SSN 342.000 infermieri professionali, molti sulla rampa di lancio per una carriera a più alto livello. Infine l´offerta formativa annua nei corsi di laurea infermieristica è attualmente di 13.000 posti e se ne richiedono 17.000. Gli studi spaziano dal management alla demoetnoantropologia. Altrettanto dicasi per le altre 21 figure professionali individuate dal ministero. Visto il dissennato proliferare dei corsi di laurea c´è da chiedersi quale sarà il tetto definitivo per la sanità. C´è anche da chiedersi come il SSN vi farà fronte economicamente, visto che già oggi il personale (medici inclusi) assorbe i 2/3 della spesa ospedaliera. Per concludere, tutto ciò corrisponde senz´altro al combinato disposto della riforma scolastica e delle tante modifiche di quella sanitaria. Ci si chiede se l´esito conferma l´impegno di mettere il cittadino al centro del Sistema sanitario oppure si stia operando, in questo come in tanti settori, per il trionfo dell´Italia delle mille corporazioni.
(La Repubblica - lunedì 7 maggio 2007)

Il 16 maggio l'IPASVI pubblica una risposta (altro file pdf che non si inserisce bene sul blog) in un'inserzione a pagamento, alla quale Mario Pirani non si esime dal rispondere:

Se l'infermiere va al potere in corsia

LA FEDERAZIONE nazionale degli infermieri ha comprato ieri un'intera pagina del Corriere della sera per confutare ciò che avevo scritto sulla mia rubrica "Linea di confine" a proposito dei mutamenti avvenuti nella loro professione. ANCHE se è inconsueto ribattere a una pagina pubblicitaria, per di più di un altro quotidiano, la questione sollevata ci sembra di tale impatto per il futuro del servizio sanitario e per la cura dei pazienti da meritare un ulteriore approfondimento. Inoltre il tema rappresenta un vero e proprio test di quale deriva stravolgente possa innestare in un paese come il nostro la pulsione al corporativismo di categoria, di quanta incoscienza possano dar prova i ceti politici quando legiferano per assicurarsi consenso laddove la forza del numero fa premio su ogni logica coerente, di quanto in questo, come in tutti i settori pubblici, l'interesse degli addetti ai lavori finisca sovente per prevalere sui diritti e le attese degli utenti, col contributo delle rappresentanze di categoria, soprattutto quelle autonome dalle Confederazioni. Prima di entrare nel merito desidero ribattere a quanti hanno considerato irrisorie e sprezzanti alcune mie considerazioni che, pur non essendo uso a complimenti formali, ho sempre nutrito rispetto e stima, anche per tante esperienze personali, per quell'esercito di infermiere ed infermieri che lavorano con dedizione, capacità, spirito di sacrificio al servizio dei pazienti, spesso in condizioni disagevoli e sempre mal pagati. Sgombriamo, dunque, il campo da equivoci e risentimenti reciproci e veniamo al punto centrale che riassumerei in quel passaggio del paginone dell'Ipasvi dove si afferma giustamente che «l'integrazione professionale e il lavoro di squadra sono una necessità ineludibile per ogni organizzazione sanitaria moderna»; subito dopo, però, si precisa «che il ritorno a rigide gerarchie tra professioni non solo è anacronistico ma risponde a vecchie logiche di potere». Il dissenso nasce qui e si àncora ad un giudizio, più volte espresso, sugli effetti destabilizzanti e anche distruttivi di taluni (sottolineo «taluni», a scanso di generalizzazioni) aspetti della riforma universitaria e delle molteplici modifiche di quella sanitaria. In particolare l'introduzione del cosiddetto 3+2 e la moltiplicazione dissennata dei corsi di laurea (dovuta alla rincorsa corporativa accademica) ha creato, assieme a una miriade di cattedre, una miriade di nuove «professionalità» con titoli di laurea dottorale di prima e di seconda fascia. Nell'ambito sanitario, come mi informa il sottosegretario on. Patta (ds), ben 22 sono queste nuove scienze, che vanno dall'infermieristica all'igiene dentale, dagli addetti di laboratorio ai podologi, dagli psicologi agli assistenti sociali. Se ciò significasse che una serie di figure, già operanti da sempre nei nosocomi, sono messi in grado di certificare il raggiungimento di un più qualificato livello culturale e tecnologico e, di conseguenza, l'ottenimento di una più ampia autonomia operativa e di uno stipendio più decente, il passaggio sarebbe assolutamente positivo. Per contro la perplessità nasce, invece, quando si legge, nello scritto, sempre del sottosegretario, «che ogni operatore esercita la propria professione all'interno del proprio ambito operativo... mentre i medici restano titolari della diagnosi clinica (da non confondersi con la diagnosi infermieristica, ndr ), degli atti medico-chirurgici e della prescrizione della terapia farmacolog i c a » . Q u e s t a s u d d i v i s i o n e giuridica ha come ricasco che ogni categoria ha una sua progressione di carriera con propri p r i m a r i d e l tutto indipendenti dai primari medici. Come immaginare che una siffatta framm e n t a z i o n e conduca ad un lavoro interdisciplinare armonico? Provano il contrario le numerose e-mail ricevute. Cito per tutti quello di una infermier a , l a u r e a t a presso l'Università di Firenze, che mi spiega: «L'epoca in cui la caposala (oggi infermiere coordinatore) rispondeva al primario è ben lontana... l'infermiere è l'unico responsabile dell'assistenza infermieristica generale e non c'è medico che possa sindacare processi e pianificazioni assistenziali... la legge inoltre afferma come ci siano settori in cui si richiede che la dirigenza sia affidata all'infermiere... non esiste gerarchia tra infermieri e medici e il medico non avrà mai responsabilità per ciò che fa l'infermiere». Affermazioni anche psicologicamente significative. Non credo, però, che il problema vada affrontato sotto l'ottica dei rapporti di potere ma alla luce degli interessi del malato e dell'organizzazione ospedaliera, in particolare nelle corsie. Confesso che sono un partigiano della medicina olistica, quella, cioè, che prende in carico l'uomo nel suo assieme e non come somma delle sue varie parti. Per questo ho molti dubbi sugli eccessi di specializzazione anche in ambito medico ed invidio la pratica americana (basta guardare una delle tante fiction in materia) dove tutti gli specialisti si riuniscono attorno al malato ed assieme pervengono alla diagnosi e alla cura. In questo ambito il massimo di competenza specifica, compresa quella infermieristica, si sposa col massimo di collaborazione. Da noi non è certo così e, se è giusto puntare ad una pratica multidisciplinare e ad un lavoro di équipe, l'approccio che mette tutte le categorie sullo stesso piano, negando la necessità che in corsia esista, accanto a vasti ambiti di autonomia funzionale, qualcuno che per competenza scientifica ed esperienza sia in grado di prendere decisioni di ultima istanza valide per tutti, vuol dire gettare le premesse per dissidi corporativi, caotica disorganizzazione, prepotere sindacale istituzionalizzato. Ma non è tutto. In Italia ci sono 342.000 infermieri, teoricamente tutti sulla rampa di lancio per il diploma dottorale (oggi l'offerta formativa universitaria è di 13.000 posti l'anno). L'organico attuale risulta, peraltro, basso e l'attività in molti ospedali è intralciata dalla carenza inferm i e r i s t i c a (doppi turni, liste di attesa, bassa utilizzaz i o n e d e l l e strutture chirurgiche e diagnostiche). Il ricorso a cooperative di extra comunitari è diventato necessariamente m a s s i c c i o . Ora, se un certo numero di infermieri laureati, esperti di bioetica, risk management, etnografia, oltre che di assistenza del paziente, è certamente prezioso, resta il quesito sulla cont r a d d i z i o n e obbiettiva tra le nuove classifiche professionali di tutti i neo laureati (o riconosciuti tali ope legis ) e le necessità quotidiane dei pazienti e dell'organizzazione ospedaliera. Sarebbe ipocrita pensare che un dottore in scienze infermieristiche non abbia l'ambizione di svolgere, tranne casi eccezionali, un'attività ben più qualificata del pulire il paziente e soccorrerlo nelle sue diurne e notturne necessità. Vi saranno dunque una quota crescente di neo professionisti non vocati a coprire le attuali carenze ma destinati a dar vita a una categoria intermedia, di difficile e costosa collocazione. D'altra parte la carenza degli infermieri tradizionali sarà coperta, nel migliore dei casi, dalla assunzione di nuovi Opa (operatori tecnici dell'assistenza, come vengono chiamati gli ex portantini) e di nuovi Oss (operatori socio-sanitari, i vecchi infermieri generici) autorizzati a «toccare» il paziente. Così senza acquistare una Tac in più, tagliando le medicine, scaricando molti oneri sulle famiglie, la spesa sanitaria salirà ancora senza costrutto. I sostenitori di questa riforma sindacal-corporativa si rifanno volentieri alla realtà anglo sassone. Dell'America abbiamo già accennato. Quanto all'Inghilterra è vero che l'infermiere ha un ruolo indipendente ma l'esempio purtroppo non calza, almeno per noi. L'Inghilterra è la patria del servizio infermieristico. La faccia della signora Florence Nightingale l'hanno messa addirittura sulla banconota da 10 pounds e le hanno dedicato anche una bella statua di fronte al Big Ben. Ma negli ospedali di Sua Maestà il servizio infermieristico è rigidamente gerarchico. Gli infermieri, e infermiere, tutti rigorosamente in divisa e cappellino hanno addirittura i gradi sulle spalline esattamente come i militari (infatti il servizio iniziò come servizio assistenziale militare a seguito dell'esercito inglese e la Nightingale ogni mattina passava in rassegna le sue nurses) e nelle corsie degli ospedali inglesi chi comanda, cioè la caposala o sister, si riconosce subito (non come da noi dove non conta quasi più nulla) essendo tra l'altro dotata di una elegante divisa blu a pois bianchi. Negli ospedali inglesi, infine, la carriera infermieristica è regolata da precise regole e periodici concorsi. Se si passa l'esame si attacca un altro gallone sulle mostrine. Da noi il caporalmaggiore non si distingue dal generale; tanto a far carriera ci pensano le leggi con le relative sanatorie e i rapporti sindacali.
(La Repubblica - giovedì 17 maggio 2007 - pagina 1)
Oggi Repubblica continua a schierarsi apertamente col suo giornalista e pubblica questa lettera del Presidente dell'Ordine dei Medici di Roma:

Noi medici diciamo no al "todos caballeros"
Mario Falconi Pres. Ordine Nazionale Medici HO letto sul Corriere della Sera il manifesto rivolto agli infermieri italiani a firma di Annalisa Silvestro, Presidente della Federazione dei Collegi degli infermieri, rimanendo sconcertato. Ribadisco che, nel primario interesse dei cittadini italiani, Mario Pirani nell'articolo su Repubblica "Todos caballeros" negli ospedali italiani, (del 27 aprile scorso) ha sollevato due questioni fondamentali che realmente esistono. La prima riguarda il proliferare di nuove professioni sanitarie che purtroppo determinano sovrapposizioni di competenze che si verificano sempre più spesso e rappresentano la gran parte delle segnalazioni che attualmente pervengono all'Ordine professionale da me diretto. D'altra parte, per la prima volta nella storia della Repubblica, anche la Federazione Medici Chirurghi e Odontoiatri ha elaborato un documento con il quale intende portare davanti al Consiglio Superiore di Sanità la sua posizione di contrarietà. La seconda questione riguarda la preoccupazione che: "quando tutti gli infermieri saranno laureati e masterizzati chi distribuirà le medicine ai degenti, chi porterà la padella o il pappagallo, chi metterà e toglierà la flebo, chi dovrà farli mangiare? " Preoccupazione anche qui legittima e condivisibile in quanto, è giusto che un infermiere laureato aspiri ad una attività professionale superiore ma ciò andrebbe accompagnato da una politica di immissione di figure professionali ausiliarie che svolgano quelle mansioni citate. Rifuggirei da qualsivoglia polemica. I medici considerano e rispettano la autonomia degli infermieri, la quale "termina laddove inizia la competenza propria ed esclusiva dell'atto medico, che viene valorizzato nella precipua essenza di direzione e centralità professionale".
(La Repubblica - venerdì 18 maggio 2007 - pagina 24)
Non mi piace leggere queste cose, non mi piace proprio. Fanno male al processo di evoluzione dell'assistenza che da molti anni si sta cercando di compiere in Italia: queste polemiche dividono invece che unire. Secondo me medici e infermieri non dovrebbero trovarsi sulle due rive opposte di un fiume, ma in mezzo, sulla stessa barca, gli uni con un remo, gli altri con l'altro per garantire la migliore assistenza e cura possibile alle persone che richiedono l'intervento di queste due figure professionali.
Tutto il mio pensiero è molto ben riassunto dalla prima (e poi dalla seconda... e son certa ce ne saranno altre) lettera del Presidente del Collegio IPASVI di Roma, Gennaro Rocco:

Quella penna antica e servizievole
sabato, 28 aprile 2007 @ 01:22
Sul quotidiano “La Repubblica” del 23 Aprile scorso, dalla penna autorevole di un opinionista di rango qual è Mario Pirani, nella rubrica da lui curata “Linea di confine” (vedi testo allegato), sono uscite affermazioni ed anatemi che ci hanno lasciati a dir poco allibiti e che certamente non fanno bene né al paese né al servizio sanitario.
Come folgorato sulla via di Damasco, l’autorevole giornalista dichiara di aver finalmente individuato le cause dei mali di cui soffre la nostra sanità: gli infermieri e gli psicologi.
I primi perché a causa della loro aumentata professionalità legata anche alla formazione universitaria, osano addirittura “costituire servizi autonomi con una propria gerarchia interna sottratta PERSINO alla Direzione Sanitaria ma facente capo direttamente ala Direzione Generale”e poi ancora perchè “la formazione accademica è ottima cosa fino a che migliora la preparazione professionale ma diventa aberrante se è intesa come leva per far saltare ogni principio di gerarchia e di responsabilità medica”. Parole pesanti e frutto di una, a dir poco, approssimativa e preconcetta considerazione di un professionista, l’infermiere, che oggi per essere abilitato ad esercitare, deve possedere un bagaglio di studio lungo almeno 16 anni ed una specifica laurea che lo rende RESPONSABILE dell’assistenza generale alla persona.
Con l’articolo “Todos caballeros negli ospedali italiani”, Pirani volge la testa indietro. E così resta. Ripropone ciò che tutti pensavamo fosse superato dal tempo, dalla storia: la “baronia” della classe medica, la sua supremazia, lo jus del primo della classe. Nella nostra visione della sanità, se esiste una gerarchia, questa ha al suo vertice una sola persona: il malato, con i suoi bisogni, le sue necessità, le sue ansie e le sue preoccupazioni…
In sanità il lavoro da “solisti” non paga! E’ necessario lavorare in équipe. La squadra, il team sono la giusta risposta alle discrasie del sistema sanitario. Medici, infermieri, terapisti, tecnici, tutti devono lavorare in maniera integrata: ognuno portatore della sua specificità, della sua competenza del suo sapere, messi a disposizione di chi ne ha bisogno. Non si può confondere l’ambito delle competenze mediche con quelle degli infermieri e degli altri professionisti della salute: una cosa è la diagnosi medica, tutt’altra cosa la diagnosi infermieristica; una cosa è prescrivere farmaci altro è garantirne la corretta applicazione; una cosa è la cura medica, altro è l’assistenza infermieristica.
E’ bene ricordare che sono sempre gli infermieri quelli che assistono le persone 24 ore al giorno, buona parte delle quali da soli, senza alcuno che li “sorvegli” o che comandi loro “cosa va fatto” e “come va fatto”. Sono sempre gli infermieri che con ranghi ridotti (l’Italia è il Paese con il più basso numero di infermieri: 5,9 per 1000 abitanti rispetto alla Germania o all’Irlanda che ne hanno il doppio e la Finlandia e i Paesi scandinavi che ne hanno addirittura il triplo) garantiscono comunque l’apertura e il funzionamento dei reparti e dei servizi del SSN. L’Italia è anche il solo Paese europeo dove il numero dei medici è superiore a quello degli infermieri (360.000 circa i medici; poco più di 340.000 gli infermieri).
Ogni giorno l’abnegazione e la responsabilità di questi professionisti contribuiscono a fare della nostra sanità, nonostante i tanti problemi che l’affliggono, una delle migliori del mondo. Crediamo che essi non meritino tanta acredine ed aggressioni così gravi ed ingenerose. Sono decine di migliaia gli infermieri che ogni anno si iscrivono e frequentano Master di specializzazione, di organizzazione e di management e ciò, nonostante ancora siano poche le opportunità di carriera e nonostante stipendi assolutamente sottostimati rispetto al ruolo e alle responsabilità che essi oggi ricoprono, (un infermiere guadagna meno della metà di un giovane medico!).
Che peccato, dottor Pirani! Che occasione perduta! Se davvero i medici si decidessero, una volta per tutte, ad accettare il fatto che l’infermieristica è cosa diversa e complementare, che gli infermieri non sono più disposti a lavorare “per” i medici ma semmai “con” i medici per i malati, e se i medici non trovassero ogni volta il loro “cantore” acritico e servizievole, forse le cose andrebbero meglio. Per tutti, anche per gli stessi medici.
Una cosa, però, è bene che il Dott. Pirani sappia: se gli infermieri italiani sono arrivati al punto in cui oggi sono è perché si sono messi in gioco, hanno investito più di ogni altra categoria su formazione, cultura e preparazione specialistica. E lo hanno fatto grazie a una straordinaria caparbietà, spesso contro tutto e contro tutti. La stessa determinazione che non li abbandona oggi e che li spinge a proseguire nel cammino intrapreso. Nonostante i Pirani di turno e con un unico fine: il bene dei cittadini che assistono.


LETTERA APERTA A MARIO PIRANI
domenica, 06 maggio 2007 @ 10:25
Egregio Dottor Pirani, qualche settimana fa ho avuto modo di leggere il suo articolo pubblicato su “La Repubblica” dal titolo “Todos Caballeros negli ospedali italiani” in cui ha fatto asserzioni che mi hanno lasciato sbigottito e molto amareggiato e che mi avevano indotto a scrivere una lettera aperta che non so se ha avuto modo di leggere (ad ogni buon fine la allego alla presente).
E, non pago, è tornato sull’argomento una settimana dopo con ulteriori considerazioni che, ritengo, abbiano offeso non solo l’intera categoria professionale che Lei con tanta ostinazione umilia (nell’articolo pubblicato il 30 Aprile li definisce tutti portantini sanati), ma l’intero Paese e il massimo organo che lo rappresenta: il Parlamento. Quando dico Parlamento non parlo di una o dell’altra compagine politica, ma di una istituzione che, a prescindere dalle maggioranze o dalle opposizioni, in quattro legislature successive ha sancito, quasi sempre con leggi approvate in modo bipartisan, la necessità che anche i cittadini italiani, come quelli di tutti i Paesi europei ed americani, avessero il diritto di essere assistiti e curati da professionisti con conoscenze e competenze elevate, al passo con i notevoli progressi della medicina.
Mi chiedo allora se Lei ha mai visitato un ospedale? Se ha un’idea, seppur vaga, di ciò che fanno gli infermieri? E di cosa, invece, si occupano gli altri professionisti sanitari e di cosa i medici?
Perdoni la domanda, forse pleonastica ma, ritengo, non peregrina, a giudicare almeno da quanto va affermando sulla sua rubrica..
Vede Dottor Pirani, che Lei abbia sostenuto, accalorandosi, la tesi secondo cui infermieri più preparati, formati a più alto livello, autonomi e con una loro gerarchia professionale, non più “paramedici” ma professionisti a tutto tondo (come del resto, Suo malgrado, la legge italiana li riconosce) potrà avere una “ricaduta sui pazienti e sull´organizzazione sanitaria che può rivelarsi rischiosa” non stupisce più di tanto. Almeno non gli infermieri.
Disinformazione e superficialità possono colpire anche chi, come Lei, svolge il suo lavoro da decano.
Quando però, nonostante la ridda di precisazioni che per Sua stessa ammissione le è piovuta addosso dopo la prima sortita del 23 aprile, insiste sulla linea del “todos caballeros”, allora un dubbio mi assale.
È solo questione di non conoscenza o è parte di un disegno più ampio e pilotato per screditare questa categoria? Dubbi per carità, solo dubbi ma che sono sostenuti dai presupposti fallaci da cui la Sua analisi muove e dalle conclusioni inverosimili a cui questa giunge.
No, caro Dottore, non ci siamo. E la “raffica di e-mail di protesta” che ha sommerso la Sua prima sortita sull’argomento dovrebbe consigliarLe qualcosa.
Come può denigrare a cuor leggero centinaia di migliaia di infermieri affermando che la riforma delle professioni sanitarie “corona anni di sanatorie che hanno trasformato ope legis migliaia di portantini in infermieri con un tocco di magia politico-sindacale”? Gli infermieri italiani, anche quelli diplomati prima del passaggio della formazione in Università, frequentavano corsi della durata di tre anni ai quali si accedeva con una scolarità di almeno dieci anni e che prevedevano la frequenza obbligatoria sia alle lezioni teoriche che al tirocinio clinico per un totale di almeno 4600 ore e conseguivano un Diploma abilitante che è stato il primo ad essere riconosciuto in tutti i Paesi europei (parliamo degli anni ’70).
Altro che portantini sanati! Tutti questi infermieri hanno sulle spalle decenni di esperienza professionale maturata sul campo (peraltro nel nostro caso con un’attività di aggiornamento obbligatoria e intensa – ha mai sentito parlare di ECM?) e molti di essi hanno anche una formazione specialistica finalizzata sia alle funzioni direttive che a quelle clinico- assistenziali.
No, caro Dottor Pirani. Al contrario di quanto afferma, poche altre categorie professionali sono cresciute in questi ultimi decenni come quella infermieristica. Non certo quella medica che Lei difende così appassionatamente. Ribadisco che noi infermieri non abbiamo alcuna intenzione ed alcuno interesse, voglia o necessità di diventare i nuovi “capitani” della sanità.
A noi interessa servire i cittadini, i "nostri" malati con competenza e professionalità e vorremmo farlo lavorando in team con gli altri professionisti.
Per noi assistere la persona significa applicare le tecniche più sofisticate e complesse, ma anche rispondere ai bisogni psico-relazionali che ogni uomo ha e che in un sistema "medicocentrico" vengono troppo spesso dimenticati. E quando parlo di assistenza globale alla persona intendo anche garantire i bisogni fondamentali della persona quali quelli dell’eliminazione o dell’alimentazione o il confort alberghiero.
Beh dott. Pirani, se questo è il Suo pensiero, faccia pure. Vuol dire che ha imparato a ragionare proprio come quei medici (e non sono poi tanti in verità!) per i quali la priorità non è la salute del cittadino ma il piedistallo da cui impartire ordini di servizio.
Peccato. Gli infermieri, gli altri operatori, i cittadini, il sistema sanitario, non ne sentivano alcun bisogno.
P.S. Se ne ha voglia e tempo, può leggere qualcuna di queste Leggi di cui la “nostra” Repubblica democraticamente si è dotata (L.42/99; L.251/00; L.43/06 e i DM Sanità n° 739/94 e DM Miur 2/4/01)
Gennaro ROCCO
Presidente del Collegio Professionale IPASVI di Roma


Non sono certa di voler vedere la prossima puntata di questa specie di inutile dinasty.

16 commenti:

Unknown ha detto...

E io dovrei leggermi tutto questo???
'stavolta passo :)=

Dalamar e la sintesi

Chiara ha detto...

Mi sa che stavolta son d'accordo con Dalamar =) cuddle!

Anonimo ha detto...

Me cojoni! Tra un <Alt-Tab> e l'altro, "guardiamo un attimo se Clo' (o Clo`? ;-) ha novita`"... urgh.

Ad ogni modo, il secondo link mi pare sbagliato, forse volevi puntare a questo PDF del Corriere della Sera?

Rispetto al merito, sono piu` ignorante di Pirani, non esprimo giudizi.

Ci hai creduto? Hha!
Gli appunti che posso fare sono che Pirani, non so se alimentato o no, intermezza opinioni personali a domande lecite, che egli od io come utenti o come datori di lavoro possiamo porci (anche se egli per lavoro potrebbe anche informarsi!). Le risposte in PDF di Annalisa Whatisname sono vuote. Avessero messo un PDF bianco (fatta salva parte della lista puntata del secondo) nessuno si sarebbe accorto della differenza. Ci vuole tanto a infarcire una replica piccata perlomeno con risposte vere, come poi in Gennaro Whatisname? [forse e` parente di Annalisa. Qui e` tutto un magna magna.] Leggendo l'articolo mi sono (oziosamente) chiesto come facciano a coordinarsi e se non ci sia davvero il rischio di schizofrenia del sistema: non ho trovato risposta, a meno che non fosse "la Direzione Generale che sta al primo piano che sa quanto costa al litro il disinfettante usato in corsia, chi lo produce e la sua composizione chimica ma che non ne ha mai sentito l'odore". Questa storia che il vertice della piramide e`, al limite, il paziente, mi va bene, ma non vorrei che se mio figlio ha dei problemi, per risolverli mi debba rivolgere a lui stesso. [ovviamente esempio ipotetico, e ovviamente piu` provocatorio che serio]

Il cittadino e` ignorante e preoccupato (in questi ultimi anni anche un po' iperteso) e ha anche un po' fretta. La cura per l'ipertensione la sanno infermieri e medici in-ordine-alfabetico-per-carita`-non-intendevo-non-volevo-non-pensavo, quella per l'ignoranza invece ci e` allontanata.

P.S. Credo, data la mia cronica incapacita` di riconoscere le lettere dell'immagine-password, di essere uno spam-bot. Enlarge your penis!

Anonimo ha detto...

Ho aperto due 3d a riguardo :-D

uno su www.infermieristica.com e uno su webinfermieri.altervista.org

purtoppo mi hai anticipato per quanto rigaurda il voler riportare la polemica sul blog... e vabbè.. comunque sappi che lo farò... in modo più personale ... e citerò anche il tuo blog ;-)

cosa penso al riguardo...

penso che gli psicologi non si sono ancora dati una mossa... penso che ci sia divario tra nord e sud... ma la cosa che è più brutta penso che la gente non abbia ancora capito che l'Infermiere è al servizio delle persone bisognose di cure e non dei medici!!

Anonimo ha detto...

Aho pare che sia l'unico "non del campo" che si è letto sto mattone.
Molto interessante.....ci sono posizioni condivisibili in entrambi gli schieramenti...come spesso avviene.
Non conoscendo bene l'argomento mi astengo per ora dal formulare un qualsiasi giudizio.
Detto questo auguro a te e a tutti i frequentatori di questo spazio una buona settimana.

Kryo Vaskes ha detto...

Giuro che volevo leggere, Clò :P
Ci ho provato :P Davvero :P

Clo' ha detto...

Immagino che chi non è dell'ambito non abbia avuto voglia di leggere il mattone, è condivisibile e lo rispetto :)

Per quanto riguarda il commento di Hamlet: le risposte della Pres. IPASVI non potevano essere formulate altrimenti, inutile alimentare ulteriormente la polemica e dal punto di vista istituzionale c'è da rispondere con le leggi vigenti. La risposta di Rocco, invece, è chiaramente più ficcante, ma rappresenta un piccolo gruppo di infermieri e non tutti nell'insieme. Pirani ha scritto delle cose senza conoscere le nuove dinamiche vigenti o se non altro leggendo la legge senza conoscere intimamente l'ambito a cui si riferisce. La coordinazione c'è nelle Unità Operative: si parla di equipe multidisciplinari che discutono del caso e assieme scelgono la linea da seguire e ogni figura risponde per quella che è la sua responsabilità professionale. Parole vuote? Siete convinti che serva un responsabile unico a cui addossare le colpe? No, non è giusto. I medici studiano tanto, è vero, sono molto preparati (si spera) per quanto riguarda la parte clinico-diagnostica ma non fanno un corso che sia uno di psicologia, di counceling, di sociologia... Non hanno gli strumenti (per curriculum universitario intendo) per quel che riguarda la parte puramente assistenziale. Nessuno toglierà loro il compito di diagnosticare la patologia, prescrivere la terapia e la cura. Nessuno vuole farlo. Semplicemente l'infermiere vuole fare il suo lavoro, ovvero prendersi cura della persona. Esempio concreto di come dovrebbero andare le cose: il medico formula la diagnosi e prescrive la terapia, si confronta con l'infermiere (che meglio conosce l'ammalato, essendoci a più stretto contatto) per capire quale percorso potrebbe dare il miglior risultato e alla fine assieme stabiliscono gli interventi. Nessuna schizofrenia, per le azioni infermieristiche (assistenza) sarà responsabile il Coordinatore Infermieristico, per quelle mediche (diagnosi e cura) ci sarà il Primario. Due figure che collaborano e rispondono alla Direzione.
Al vertice della piramide c'è ovviamente il paziente, perchè sarà in base alle sue personali esigenze che verrà stilato il percorso assistenziale e terapeutico. Per fare un esempio: se la persona ha problemi a prendere sonno, non lo sveglierò alle 6 di mattina per la terapia, ma si deciderà di spostarla di conseguenza, in maniera da garantirgli il riposo.
Il problema è giustamente la scarsa informazione... Se ti schianti con l'auto sai che per la parte meccanica vai dal meccanico e per la carrozzeria dal carrozziere, giusto? Nell'officina grande, poi, meccanico e carrozziere lavorano assieme e ti tornano l'auto al meglio che possono. In ambito sanitario è uguale: il medico fa il meccanico e ti cura i "guasti" interni, l'infermiere si occupa di rimettere in sesto tutto quello che sta attorno, il fisioterapista ti cambia le ruote, ecc ecc.

Su una cosa sono pienamente d'accordo, per chi non è nell'ambiente le posizioni di Pirani sono condivisibili. La colpa di questo per me è in massima parte imputabile agli attori stessi dell'ambito sanitario che dovrebbero evitare di sputtanarsi a vicenda e invece promuovere l'immagine di collaborazione che è fondamentale per il successo di qualsiasi terapia. Inutile pensare che uno porta via il lavoro all'altro... E' una stronzata pazzesca! I medici hanno protestato per anni che non avevano tempo di fare niente perchè erano oberati da cose che poco c'entravano con il loro mestiere... Bene, ora c'è qualcuno che le sa fare perchè studia per farle!
La professione infermieristica, secondo le nuove leggi, ha ancora molto da fare per farsi conoscere, ma sono sicura che tra qualche anno sarà normale rivolgeri all'infermiere di famiglia (lo stanno attivando in diverse città in Italia) per capire come "gestire" l'anziano a casa, per le medicazioni, per sapere a chi rivolgersi a seconda del problema ... piuttosto che al medico di medicina generale :)

Clo' ha detto...

Aggiungo
QUESTO LINK
che riassume appieno il concetto :)

Anonimo ha detto...

ci ho provato anch'io, a metà ero sull'orlo di svenire a facciata sulla tastiera.. sospendo il giudizio sulla parte organizzativa, direzione sanitaria e direzione generale, primari e dirigenti di strutture complesse, non sono ancora entrato tanto nella realtà ospedaliera da capirci qualcosa di questi vari livelli, i cui compiti misteriosamente si intrecciano..
credo che tutta la querelle nasca da un'incomprensione originata da 'sta schifezza del 3+2, e alla sua estensione alla pene di segugio a tutti gli ambiti dell'istruzione universitaria.. l'errore nasce quando alla fine dei 3 anni, con un'improvvida manovra tutta italiana si è pensato di dare il titolo di 'laureato' a chi si finiva la triennale, e 'dottore' dopo la specialistica, creando una distinzione troppo sottile che in realtà nasconde competenze molto diverse.. sarebbe bastato mantenere la nomenclatura ormai mondiale anglosassone, Bachelor e Master, e successivamente PhD, Professore, etc.., perchè gran parte delle richieste di tutta una serie di dottori che dottori in realtà non sono rimanesse semplicemente nelle loro menti..
tutto il resto è conseguente, tutti questi arroccamenti su posizioni antiche o appena conquistate..

p.s.: sai chi è il direttore della rivista che hai linkato?

Anonimo ha detto...

errore, sorry, il nome del sito mi ha indotto a pensare che fosse il link a una rivista scientifica..

Anonimo ha detto...

uqMi trovo a concordare con Oban circa la problematica creata con l'introduzione delle "lauree brevi" e degli effetti che hanno sul mondo del lavoro.
Come ho detto non ho le informazioni per costruirmi una idea che possa reggere il confronto con quelle espresse da chi qui vive nella relatà descritta.

P.S.
Oban...........ma il tuo nome ha un'origine alcoolica oppure e' un puro caso?

Clo' ha detto...

Figurarsi se non ha un'origine alcolica...

Per quanto riguarda lauree triennali e quinquennali... A me sta bene la divisione, un po' per conformarci alla normativa europea, un po' perchè per alcune professioni in effetti un ciclo unico di 5 anni sarebbe esagerato. Semmai in Italia il problema riguarda i programmi dei vari corsi, non il fatto di spezzare i 2 cicli. La nomenclatura? Son d'accordo che è un casino e anch'io propenderei per quella all'inglese.
Restando all'Italia attuale, chiamarla laurea breve è errato: ora è una laurea di 1° livello e si acquista il titolo di Dottore, il +2 è una laurea di 2° livello che dà il titolo di Dottore Magistrale. Questo tanto per la correttezza formale, non esprimo giudizi di merito. :)

Anonimo ha detto...

Buongiorno
forse sarebbe meglio per quella di 3 anni un nome meno altisonante tipo Diploma...qui in Italia il termine Dottore ha ancora troppa enfasi.
Detto questo mi ringuscio cercando di superare una terribile giornata al lavoro.

Anonimo ha detto...

molto alcolica, come origine..
per le varie lauree, vabbè uniformarsi alla normativa europea, ma è una cosa che può avere un senso per le discipline scientifiche, al massimo, facendo scomparire qualche corso inutile.. ma una laurea triennale in storia, che senso ha?

vabbuò, me ne torno a far finta di lavorare, va là..

Anonimo ha detto...

Sei il mio whisky preferito!

Cassiopea ha detto...

Passavo per caso ed ho letto il tuo post. Mi mancava l'ultimo articolo e ti ringrazio di averlo segnalato. Sono un'infermiera laureanda magistrale e anche sul mio blog è in corso questa polemica. Sono felice di non essere l'unica che si fà venire la gastrite!